Siamo Polignano a Mare, paese di cui lo scrittore nato a Torino si è innamorato per l’autenticità e per la bellezza dei suoi panorami marini (in effetti si tratta di un luogo davvero bello, in cui la gente però - a differenza di quando pensi Luca Bianchini - non è bidimensionale, come non lo è da nessun altra parte del mondo).
Il romanzo-documentario racconta del matrimonio di due ragazzi preparatissimi alla cerimonia ma non altrettanto alla vita di coppia. Si divide in due parti: la vigilia del giorno fatale, in cui i personaggi vengono presentati e si è introdotti a una marea di dettagli sulla preparazione che annoierebbero pure l'esperto TV Enzo Miccia, e il sabato dello stesso matrimonio, in cui il racconto dei particolari della cerimonia raggiunge livelli da sinceramente inutile gossip. C'è - dimenticavamo - un epilogo (il giorno dopo del matrimonio) che aggiunge poco; se possibile, sottrae.
La differenza fra uno che scrive bene e un grande scrittore è questa:
Non sappiamo bene chi Bianchini abbia conosciuto a Polignano a Mare, ma i personaggi di "Io che amo solo te" sono sinceramente troppo semplici e prevedibili. La maggior parte di essi agisce come robot. I due sposi, in particolare, sembrano generati, o meglio degenerati, da un software: non si capisce se (e magari perché) si amino, ma sono condannati a sposarsi; ogni tanto fanno una scemenza che sembra mettere in discussione il loro cammino, ma sono pronti a tornare al sacrificio in men che non si dica.
Qualche sfumatura in più ce l'hanno i genitori degli sposi, che hanno una vecchia storia da raccontare. Sarebbe stato bello se la storia di questi due "vecchi" fosse emersa più lentamente nel romanzo, a mo' di segreto che il lettore piano piano scopre. Invece tutto è spiattellato subito; da pagina 68 o giù di lì non si capisce più cosa si stia leggendo a fare.
Luca Bianchini è molto bravo a cogliere i dettagli degli accadimenti. Non a caso, ha fatto un buon lavoro con la biografia del famoso interprete di musica melodica Eros Ramazzotti. Sfoggia un po' di humour (in alcuni casi un po' dozzinale, vedi l'insistenza nell'accostare i nomi locali con le mansioni anglosassoni, pratica che non ci è parsa poi così diffusa in Puglia) e riesce a farsi leggere benché non abbia trama e i suoi personaggi siano banalotti.
In questo lavoro di reporter, Bianchini è probabilmente aiutato dallo scrivere nel blog di un giornale di gossip. Fatto sta che in questo testo compie un mezzo miracolo. Non ha una trama, non ha personaggi interessanti, eppure si fa consumare per 250 pagine. Ci viene da dire (non ironicamente) che, se Bianchini si chiudesse in una stanza per qualche anno e si chiedesse davvero perché la gente fa quello che fa, sarebbe il Proust di Torino (in quanto alla Puglia: pietà, basta)